La storia della Signora C.
La paziente, di circa 70 anni, arrivò in Hospice già in stato semicomatoso e soporoso. Alle spalle una grande famiglia con figli, nipoti, fratelli e sorelle al cui interno non regnava un grande accordo e che spesso esprimevano anche in camera e alla presenza della paziente i loro contrasti in merito al suo stato, all’eventualità di stimolarla o di lasciarla quieta, o considerazioni sulla validità delle terapie fin lì usate. Avendo appreso da una figlia che C. era una grande amante dei cani chiesi alla pet therapist di provare ad intervenire con l’obiettivo di tranquillizzare i familiari e di dimostrare loro che la paziente, se trattata con dignità, poteva ancora avere esperienze positive. Malgrado il loro iniziale scetticismo e la loro continua e reciproca aggressività Monica, la pet therapist, portò nella stanza Spirit e lo fece accomodare su una sedia accanto alla signora. Poi le prese la mano e le fece toccare il pelo del cane che incominciò a leccargliela. La Signora C., sorprendentemente, aprì gli occhi ed il suo sguardo non era vitreo ma orientato al cane, a lui soltanto, e così rimase per ben 10 minuti, con gli occhi aperti, mostrando di gradire il contatto con l’animale, ricercandolo anzi con gli occhi.
I familiari fecero immediatamente silenzio osservando la scena. Molti di loro erano visibilmente commossi, alcuni uscirono in lacrime dalla camera, altri non staccarono gli occhi di dosso dalla paziente per tutto il tempo in cui durò l’episodio.
Anche dopo rimase nella stanza un alone di silenzio rispettoso, come se qualcosa di magico vi fosse successo; sembravano tutti commossi e più in pace. La signora C. chiuse tranquillamente gli occhi e morì alcune ore più tardi in piena rilassatezza.
La storia del Signor L.
Il paziente era un cinquantenne che, a causa della propria dipendenza da alcool, aveva praticamente perso la propria famiglia. Ricoverato in Hospice come ripiego estremo stava, per la maggior parte del tempo, solo e depresso a pensare. Accoglieva i cani come fossero una festa, per questo decisi di utilizzarli per mediare il rapporto tra lui ed i familiari oltre che per aiutarlo ad esprimere il proprio vissuto emotivo e riceverne conforto. Il Signor L. amava tenere entrambi i cani sul letto, li coccolava a lungo, li baciava, si faceva fare fotografie che postava su Facebook con commenti commoventi: “Ancora una volta il mio caro amico Spirit mi ha fatto sorridere”, “La mia gioia in ospedale… Miracle e Spirit”. Decisi di fare del lavoro psicologico anche con i due figli adolescenti del Signor L. e durante il mio intervento i cani furono sempre presenti prima e dopo le sedute. A dimostrazione del successo del mio tentativo di riavvicinamento una fotografia, che ai ragazzi rimarrà come ricordo, intitolata dal Signor L. “La mia famiglia al completo”, in cui i cani sono sul letto e L. è ritratto con moglie, figli e la psicologa.
La storia della Signora A.
In questo terzo caso, la Signora A., di 68 anni riteneva che i cani le avessero rivelato la maledizione della malattia, 16 anni prima. Infatti ricordava che il cagnolino di un vicino di casa un giorno, improvvisamente e contro le sue abitudini precedenti, si era allontanato da lei. L’episodio si ripeté e poco tempo dopo alla paziente venne diagnosticato un melanoma ad una gamba. Da allora la Signora A. ritenne che i cani la rifiutassero in quanto malata. Parlammo insieme del fatto che, talvolta, i cani sono in grado di cogliere una malattia prima degli esami; il mio intento era quello di farle capire che dietro il comportamento del cane non vi era un rifiuto poiché tale pensiero si trasformava in una forte autosvalutazione: “Nessuno mi vuole, nemmeno i cani! Non valgo più niente, sono una nullità”.
Quando arrivò Monica, la pet therapist, provai a farle vedere i cani, lei accettò che le si avvicinassero, restò sorpresa dal fatto che non scappavano e si commosse profondamente quando Spirit la leccò.
La storia della Signora N.
La sig.ra N., un Signora sulla sessantina, devastata da anni di malattia ma molto sorridente e buona. Aveva un grande clan familiare attorno che la vegliava costantemente ma che lei si sentiva in obbligo di intrattenere e ringraziare continuamente. Non aveva avuto figli e, pur avendo fatto a lungo la zia, trovava sorprendente tanto affetto, cosa gratificante ma che non le consentiva di dimostrare anche il proprio dolore. Lei temeva i cani, specialmente quelli grandi. Quando arrivarono Spirit e Miracle se ne innamorò tanto che volle tenerli sul letto con sé. Faceva grandi risate, li accarezzava e li baciava. In uno dei suoi ultimi giorni Miracle mitigò la sua ansia standole accanto, sul letto.
CASO: Una famiglia in crisi
E’ il caso di un giovane uomo di 60 anni, padre di tre ragazzi di 14, 16 e 20 anni, ricoverato in hospice suo malgrado poiché la sua casa, ristrutturata con amore, non era più per lui garanzia di sicurezza. Si trattava, infatti, di una casetta su tre livelli. Nell’andare in bagno, nel cuore della notte, il paziente era caduto dal soppalco open space, dove dormiva con la moglie, facendosi, in caduta libera, quasi tutta la scala a chiocciola. Soffriva di una rara malattia neurologica sulla quale era recentemente insorto un tumore. La famiglia era molto provata, in particolare la moglie che da tempo gestiva l’interazione positiva tra il malato ed i figli e non sapeva più come procedere affinché il padre parlasse con i ragazzi. Quando vidi la prima volta i due adolescenti più piccoli, li trovai particolarmente spaventati dal contesto. Si misero fisicamente vicini alla mamma, piangendo e tremando. Allo scopo di tranquillizzarli, sia sulla “bontà delle nostre intenzioni” sia sulla non distruttività del luogo, feci intervenire Spirit e Miracle perché potessero fungere da traino ed aiutare i ragazzi a prendere coraggio e interagire con il padre che, chiuso nella sua corazza di paura e depressione, non rivolgeva loro che pochi sguardi, dal letto, prima di rifugiarsi nel sonno.
Feci incontrare i ragazzi con i cani fuori dalla stanza del padre. La ragazza di 14 anni si avvicinò subito e spontaneamente a Spirit che, con la sua mole, pareva proteggerla, mentre il ragazzo, senza proferire molte parole, prese al guinzaglio Miracle. Insieme si fecero condurre fino alla camera del padre dove, per un attimo, l’imbarazzo sembrò calare e sembrò nascere la possibilità di un’interazione padre-figli, ma lo spiraglio fu breve e si chiuse subito. I ragazzi uscirono allora dalla stanza e si misero a coccolare nel corridoio i due cani; la ragazza si accucciò addirittura a terra accanto a Spirit. Fu allora che il padre, tranquillo nella propria stanza, si alzò per recarsi in bagno. Il ragazzo mi cedette prontamente Miracle e si avviò ad aiutare il padre che diede segno di apprezzare il gesto. Immediatamente lo seguì anche la sorella. I due fratelli, carichi di buone risorse personali, avevano solo bisogno di trovare una “normalità” e qualcuno che li potesse aiutare a “fare da tramite”. Accompagnati in questo modo e diminuito lo stato d’ansia iniziale, incominciarono a venire a trovare il papà giornalmente in modo più spontaneo anche se sofferto.
CASO: Padre giovane con figlie adolescenti
Anche questo è il caso di una famiglia con un padre giovane e figlie poco più che adolescenti.
Le due ragazze, una di 18 e l’altra di 14, erano in grado di affrontare la vicinanza al padre in modo estremamente razionale allontanando ogni aspetto emotivo che comportasse loro sofferenza. Soprattutto la minore, sempre perfetta e curata, sostava per ore accanto al padre leggendo un libro o chattando col suo smartphone. Era una ragazza che, come la madre, faceva fatica anche a salutare gli altri. Ho coinvolto nel caso Monica, la pet therapist, e i suoi cani perché fungessero da catalizzatori emotivi e da tramite per poter iniziare a rapportarmi con questa famiglia difficile.
Monica portò in Ospedale i cani un po’ prima dell’orario consueto. Accompagnata dalle due ragazze scesi nel parcheggio per incontrarla e Monica si allontanò cedendo Miracle e Spirit alle due giovani. Ciascuna con un cane al guinzaglio salirono in mia compagnia per le scale fino al settimo piano: parevano essersi trasformate, sorridevano, si fermavano a parlare con le persone, chiacchieravano con me. Sempre sorridendo condussero i cani in camera dal papà che era, giustamente, più interessato alle espressioni dei visi delle sue due figlie, per le quali era preoccupato, che ai cani. Questo è stato l’aggancio che mi ha permesso di iniziare un piccolo lavoro di preparazione al lutto per le ragazze, la minore in particolare, coinvolgendo anche la madre. Credo che senza tale opportunità mi sarebbe stato molto difficile poter suggerire, ascoltata, alla donna di far partecipare anche la minore delle figlie, se lo avesse desiderato, alle ultime ore di vita del papà.
CASO. La storia di Rosa
Rosa, è una signora sudamericana di 51 anni. E’ una donna molto forte e sempre positiva. La sua famiglia, tranne una figlia, risiede ancora nel paese d’origine.
Ultimamente Rosa era particolarmente triste perché la sorella, dal paese natale, le inviava messaggi in lacrime, sentendosi in colpa poiché sentiva di averla abbandonata, sola, in Italia. Rosa ha voluto rassicurarla. In un colloquio con me ha detto di sentirsi trattata, in hospice, come in famiglia. Abbiamo, così, mandato un messaggio alla sorella in cui, presenti in stanza diversi operatori ed i due cani, la donna salutava la sorella dicendo in spagnolo “Qui io non sono mai sola”. Inutile sottolineare quanto il videomessaggio sia stato gradito da entrambe le donne.
CASO: Madre e figlia
Il caso riguarda una paziente trasferita in hospice dal Reparto di Medicina. Il medico palliativista ed io faticammo alquanto a fare accettare a lei e alla figlia tale trasferimento che avrebbe evitato alla signora, affetta da un carcinoma gastrico ulcerato che le avrebbe impedito per sempre di mangiare, di morire nell’anonima stanza a tre del Reparto Ospedaliero con scarsa privacy e possibilità di riposare in modo appropriato, aspetti negativi di cui peraltro la paziente si lamentava.
La signora viveva con l’unica figlia (nata prematura a causa della morte della primogenita ancora infante) in una situazione di totale simbiosi, di incapacità di distacco l’una dall’altra e di forte dolore. La figlia non riusciva neanche a concepire il pensiero che la madre venisse ricoverata in Hospice; in occasione di una sua breve visita a tale struttura dovetti assistere ad una scena di blocco e di pianto isterico al di fuori della porta. Nessuna delle due donne si era mai rivolta ad uno psicologo.
Ancora una volta furono i cani il mezzo per “agganciare” la figlia ed ottenere che, quantomeno pensasse al trasferimento in Hospice della madre. Gliene parlai, le mostrai una fotografia degli animali ed alla giovane donna si illuminò lo sguardo. Per lei i cani potevano rappresentare una speranza. Una speranza doppia, in realtà. Da una parte la possibilità di accedere ad un luogo in cui i contenuti emotivi avevano molto importanza, cosa fondamentale per lei che era di un’emotività debordante, e che le avrebbe permesso di sentire in modo vivo la relazione tra lei e la madre e, dunque, simbolicamente di mantenere in vita la mamma stessa. Dall’altra lei aveva sempre desiderato occuparsi di un cane ma non se ne era mai sentita all’altezza. Il poterlo fare significava iniziare a pensare ad una vita propria, magari senza la mamma e con cose sue, cane compreso.
In occasione della prima seduta, non appena videro i cani entrambe si emozionarono tantissimo. La malata volle subito far posto sul letto a Miracle e si lasciò immediatamente tranquillizzare da lei. La figlia si fece a lungo consolare dal grande Spirit. Da allora iniziò a pensare, aiutata dalla pet therapist, di essere in grado di occuparsi di qualcuno e piano piano divenne più sicura di sé. Anche nella terapia psicologica, a cui la sottoposi in seguito, utilizzai i cani come supporto nella sua crescita emotiva, crescita che le consentì di prendere addirittura la decisione di donare le cornee della madre.
Con Monica decidemmo di fare l’ultimo regalo di speranza a questa piccola famiglia. Alla vigilia della morte della paziente, consentimmo a Miracle di salire sul suo letto e la cagnolina fece una cosa che commosse profondamente chiunque entrò in camera: con estrema delicatezza si mise in atteggiamento protettivo, con il proprio corpo lentamente adagiato sull’ammalata sedata e la vegliò finché la stessa non regolarizzò il respiro.
CASO: Famiglia con disagi psichiatrici
Per tutto il mese di febbraio il Reparto ebbe una faticosa esperienza con un familiare, la figlia di una paziente, soggetta ad una grave labilità psichica. Ella ricoverò la propria madre demente su richiesta della nipote che non riusciva più a sopportare che la propria madre, che fungeva da caregiver, si distruggesse a casa. Da ottobre la malata non rispondeva ad alcuno stimolo esterno, neanche a quelli invadenti della figlia, e si rifiutava di aprire gli occhi. Miracle fu seduta sulla sedia vicino all’ammalata e, mentre il povero Spirit subiva pazientemente le prepotenti carezze della figlia, la pet therapist fece accarezzare la cagnolina alla malata che, sorprendentemente reagì aprendo gli occhi e seguendo Miracle con lo sguardo.
Ovviamente il miracolo non fu totale: la figlia rimase gravemente labile e rabbiosa per la morte della genitrice ma anche lei aveva compreso che con piccole – grandi cose come queste si può combattere la disperazione e tutt’ora mi manda messaggi di ringraziamento.
Ma la pet therapy lascia tracce preziose anche sul professionista che la gestisce. Per questo mi sembra bello chiudere con una citazione personale della psicologa che ha operato nel progetto.
“Capita anche a noi di affezionarci particolarmente a qualcuno. Una donna ancora giovane ha passato tre lunghi mesi in Hospice: ebbene, ricordo i suoi occhi riempirsi di lacrime quando vide per la prima volta Miracle e Spirit nella sua camera. I suoi denti prominenti e distanti le davano un sorriso radioso e, permettetemi, bellissimo. Ancora oggi lo porto con me.”