Faccio una premessa: ho iniziato ad andare a Calcutta (Kolkata, come si chiama dal Gennaio 2001) nel 2004 e ogni anno (escluso il periodo Covid) torno per fare del volontariato nell’Ospedale dei morenti di Madre Teresa a Kalighat, uno dei tanti quartieri degradati di Calcutta. Dopo la mattinata di lavoro in ospedale, ho l’abitudine di girare per la città, entrare nei negozi, mescolarmi alla gente nei mercati locali osservare le migliaia di persone che si danno da fare per sopravvivere: c’è più “vita” in due ore a Calcutta che in una settimana a Milano.
Se si riesce ad osservare con occhio curioso ma simpatico e benevolo e senza voler giudicare, ci si rende conto che l’India, e soprattutto Calcutta (sicuramente la città più “indiana” dell’India) è un altro universo, dove in primo piano c’è una massa enorme di una umanità lacerata, dolente e sofferente, che guarda la realtà con occhi molto diversi dai nostri (fatalismo?, rassegnazione?) che l’aiuta ad affrontare una quotidianità aspra e difficile. L’India è un Paese con disuguaglianze sociali sempre più laceranti, più di Cina, Brasile, Sud Africa e Stati Uniti, secondo il World Inequality Labco, diretto dall’economista Thomas Piketty, con differenze addirittura superiori a quelle esistenti negli anni ’30, all’epoca del dominio coloniale Britannico. Nel 2022 l’uno per cento della popolazione indiana possedeva il 40,1% della ricchezza totale: “in compenso”, secondo la classifica di “Forbes” sugli uomini più ricchi dell’ Asia, i primi due sono indiani (il terzo più ricco è cinese). (Fonte “Il Sole 24 Ore del 22 Marzo 2024 n. 81, pagina 7)
Quasi ogni sera mi recavo in un “internet center” (ce ne sono decine in città) da dove mandavo email a casa e agli amici raccontando le cose quanto meno singolari (per la nostra mentalità, ovviamente) che osservavo con affettuosa ironia o che mi erano capitate nel corso della giornata. Se questa prima “mail” vi fosse gradita, posso proporne diverse altre: vi ringrazio in anticipo e buona lettura.
Mappa della città.
Poiché la mappa della città che avevo comperato cinque anni prima era risultata essere assolutamente inattendibile, quando ho visto, ben esposta in un baracchino di strada, la “The Latest Kolkata Guide and Map – Doctors, Rail, Bus – DEFINETELY THE BEST” scritto in maiuscolo (non penso ci sia bisogno di traduzioni ma per gli amici che conoscono cinque lingue, tra le quali non l’inglese, significa “La guida e la mappa più aggiornata di Calcutta – Medici, Ferrovie, Autobus – DEFINITIVAMENTE LA MIGLIORE”) mi è presa una sorta di incontrollabile frenesia e, copertina a colori, incellofanata, costo ottanta Rupie taxes included (guarda caso un euro esatto), non ho resistito oltre.
Ho avuto un fastidioso dubbio sul fatto che ci potessero essere attinenze tra medici, ferrovie e autobus ma non si può neanche stare lì troppo a sottilizzare per cui ho fatto l’acquisto per scoprire che, in effetti, c’erano diverse differenze rispetto all’edizione precedente.
Appena aperta, sulla guida c’era scritto in bella evidenza “MAP NOT TO SCALE” cioè “Mappa non in scala”. A cosa serva una mappa non in scala è uno dei tanti misteri indiani. In realtà neppure la mappa che avevo acquistato cinque anni prima lo era, ma almeno non c’era scritto niente da nessuna parte. Ho visto gente che guardando dove doveva andare (sulla mappa la meta risultava essere a tre centimetri rispetto a dove si trovava) calcolava dieci/quindici minuti di strada a piedi e si incamminava baldanzosa con una valigia di trenta chili (tanto era possibile portare in classe economica volando Emirates, oltre ad un bagaglio a mano di otto chili) per poi scoprire che la distanza tra i due punti richiedeva in realtà qualche ora di cammino sotto il sole a 38°, mitigato però da una umidità di solo il 98%. Sicuramente qualche cliente deve aver scritto innervosito (nella mail originale, riservata ad un pubblico privato, avevo usato un altro aggettivo) all’editore usando frasi minacciose e lievemente volgari; editore ingenuo e temerario in quanto sulla guida c’era il suo indirizzo, numero di telefono e mail per cui, come ebbe a dire Andreotti tanti anni fa per altre questioni, vuol dire che uno se la va proprio a cercare. L’editore si è ben guardato dal rifare la mappa: ha semplicemente messo l’avvertenza che la stessa NON è in scala, ha eliminato il suo indirizzo e tutti i riferimenti possibili per cui adesso è “sereno”, come affermano tutti i politici italiani quando li portano in galera (e proclamano anche, i temerari, di avere fiducia nella giustizia).
Sulla nuova mappa è stato aggiunto un riquadro di quindici centimetri per dieci (il centro-centro città, questo sì dettagliatissimo) dove campeggia la scritta “Scale 1:13.000” aggiungendo, erroneamente 1 centimeter=13 Kilometers, il che evidentemente è una grossa stupidaggine (anche in questo caso nella mail avevo usato un altro vocabolo). Non sono laureato in matematica pura ma al tempo dei boyscout, mi avevano insegnato che 1:13.000 significa ad esempio che un centimetro sulla mappa equivale a 13.000 centimetri sul terreno, vale a dire a 130 metri, non a 13 chilometri. Ci sono in compenso un sacco di informazioni indispensabili, quali indirizzo e numero telefonico dell’Alitalia (che a quel tempo non volava più in nessuna città indiana da almeno dodici anni e che oggi non vola proprio più da nessuna parte), cinema e teatri falliti da anni, bar e ristoranti chiusi dal dopoguerra, luoghi di interesse con orari inventati e amenità simili che confermano che questa è proprio THE LATEST GUIDE, nel senso che è proprio l’ultima guida da comperare e che è meglio astenersi dall’acquisto delle prossime eventuali future edizioni.
Francobolli.
Avevo già scritto in una precedente occasione che ero andato a comperare dei francobolli alla Posta Centrale vicina al New Market, il Centro commerciale più noto di Calcutta, chiedendo 60 francobolli da dodici rupie per spedire cartoline illustrate ai miei cari amici in Italia (so che vi state chiedendo perché non mando i saluti via mail che sicuramente arrivano e non costano nulla, ma volete mettere la differenza di divertimento?). Avevo avuto la ventura (o avventura, o sventura vedete voi) di imbattermi in un impiegato spastico (realmente tale, poveretto, non per modo di dire) che, alla mia richiesta di francobolli da DODICI rupie, tariffa per spedire cartoline in Europa (così almeno era scritto su un avviso nei locali della Posta stessa), era dato in escandescenze, mettendosi a battere i pugni sul bancone gridando come un invasato “SEVEN, SEVEN”! (sette, sette) e non aveva voluto intendere ragione. Forse non era stato informato che le tariffe erano cambiate non so da quanti anni e per non rovinargli la giornata avevo comperato i francobolli da seven rupie e in effetti le cartoline erano poi arrivate in Italia in una percentuale ragionevole. Quindi, forte della precedente esperienza (l’esperienza conta, eccome) sono tornato al solito ufficio postale, dallo stesso impiegato che evidentemente era inamovibile come un monumento nazionale, chiedendo 45 francobolli da seven rupie (quindici amici mi avevano detto che non gliene importava un accidente di ricevere cartoline e quindi li avevo tolti dalla mia ”cartoline list”).
Stessa scena anche quest’anno ma all’inverso: l’impiegato, al quale forse era stato fatto un corso di aggiornamento e le cui condizioni di salute erano chiaramente peggiorate, si è alzato di scatto dal suo scranno pestando i pugni sul solito e per fortuna solido bancone e ha cominciato a gridare “TWELVE, TWELVE!” (dodici, dodici, per gli amici che non conoscono l’inglese). Ed è cominciato il dramma: l’operazione 45×12 poteva essere semplice perché ha usato una calcolatrice che, anche in India, dà l’importo totale di 540 rupie ma forse ritenendola un moderno strumento subdolo e mentitore, si è rimesso a fare l’operazione a mano, con una matita su fogli sparsi e, alla faccia di chi assicura che la matematica non è una opinione, il risultato era ogni volta diverso, facendolo arrabbiare sempre di più con me per averlo messo in quella scabrosa situazione.
Fortunatamente tre o quattro persone che erano in coda dietro di me si sono impietosite (penso più nei miei confronti che nei suoi o semplicemente perché non volevano passare il pomeriggio allo sportello) lo hanno convinto che la cifra era proprio 540 rupie per cui, dopo avere preteso il pagamento in anticipo (forse memore di precedenti esperienze di clienti che dopo avere avuto i francobolli se l’erano filate a gambe levate senza pagare) si è rasserenato o rassegnato e ha cominciato a servirmi. Sospiro di sollievo da parte di tutti ma operazione più semplice da dirsi che a farsi: non esistono in circolazione francobolli da dodici rupie (non è che anche in Italia il “taglio” dei francobolli sia sempre esattamente quello di cui uno ha bisogno). Occorreva quindi combinarli e l’impiegato, dopo profonda meditazione ha avuto l’illuminazione che con francobolli da dieci e da due rupie si poteva portare a termine l’impresa. Il problema, sempre per facilitare la vita agli impiegati postali, è che i francobolli da dieci rupie sono su fogli con file da dieci francobolli l’una, mentre quelli da due rupie sono su fogli con file da quindici francobolli l’una. E il poveretto è andato definitivamente fuori di testa: staccando tutta una fila da dieci francobolli da dieci rupie e tutta una fila da quindici francobolli da due rupie, ha scoperto con sgomento che, pur essendo la dimensione dei due tipi di francobolli esattamente identiche, la lunghezza delle file sovrapposte ovviamente non coincideva e questo lo ha reso furioso. Sempre i soliti volontari (l’importanza del volontariato!) gli hanno fatto contare con calma i francobolli uno per uno, quarantacinque pezzi da dieci rupie e quarantacinque pezzi da due rupie, il che lo ha sorpreso ma gli ha fatto tornare il sorriso.
Ha preso allora un registratore di cartone di dimensioni mai viste: ho notato sul frontespizio il sigillo a ceralacca di Lord Mountbatten, ultimo viceré dell’India verso il 1947, a fogli mobili (nel senso letterale del temine, cioè ogni foglio andava per conto proprio) con decine di righe e caselle (sembra che da lì abbiano trovato ispirazione gli ideatori di “Excel”) che ha diligentemente compilato a matita, tirando con un righello di legno una riga dalla quale spuntava il risultato finale di 540 rupie. Sicuramente per lui è stato un pomeriggio stressante, ma anche per me non è stata una giornata rilassante: comincio a prendere in considerazione di inviarvi i saluti via mail. Morale: cerchiamo di voler bene agli impiegati delle poste italiane. Una cosa però è cambiata: fino all’anno scorso i francobolli, sul retro, avevano pochissima colla per cui, leccandoli, toglievi la colla dal francobollo e la trasferivi direttamente sulla lingua (per cortesia non parlatemi di igiene, se avete questi problemi non venite in India). Occorreva quindi avere uno stick di colla per appiccicarli sulle cartoline, stick di cui, ormai esperto, mi ero munito prima di partire dall’Italia. Certamente nel frattempo deve essere passata una norma pro igiene (era l’unica che mancava nel sostanzioso “corpus” legislativo del settore) perché ora sul retro del francobollo, di colla proprio non ce n’è più ma in compenso, per la bisogna, c’è uno stick di colla sul bancone, a disposizione del pubblico.
Grande mio stupore vedere che non è legato con spago e/o catenella come accade per le biro agli sportelli delle banche italiane: a Calcutta impareranno presto che i bancari italiani hanno le loro buone ragioni.
Piergiorgio Molinari