Fine vita e eutanasia: cosa sta succedendo in Italia?

E’ ormai sotto gli occhi dell’opinione pubblica ed oggetto di grandi discussioni la presentazione da parte dell’Associazione Luca Coscioni di una proposta di referendum abrogativo per il riconoscimento dell’Eutanasia Legale.

La proposta che è stata depositata presso la Corte di Cassazione il 20 aprile 2021, concluderà il primo step, come per tutte le proposte di referendum, entro il limite massimo del 30 settembre 2021 data in cui le firme raccolte e certificate verranno presentate alla Corte di Cassazione che ne controllerà la validità e accerterà che siano stati rispettati i tempi e le procedure previsti dalla legge. Dopo questo controllo formale sarà compito della Consulta della Corte Costituzionale dichiarare l’ammissibilità del quesito referendario. Toccherà al Presidente della Repubblica l’ultimo passaggio quando, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, sceglierà una data tra le domeniche comprese tra il 15 aprile e il 15 giugno 2022.

L’iniziativa referendaria ha travolto l’Italia e trovato un grande consenso tra Associazione e cittadini. Coloro che hanno aderito all’iniziativa hanno infatti superato abbondantemente il numero minimo di 500.000 richiesto dalla legge. Ma cosa prevede il referendum, a quale domanda l’elettore dovrà rispondere con un sì o un no qualora il quesito dovesse essere dichiarato ammissibile?

Eccone il testo completo.

“Volete voi che sia abrogato l’art. 579 del codice penale (omicidio del consenziente) approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, comma 1 limitatamente alle seguenti parole «la reclusione da sei a quindici anni»; comma 2 integralmente; comma 3 limitatamente alle seguenti parole «Si applicano».

Chiarito che l’articolo di legge di cui si chiede l’abrogazione è il 579 del c.p. che disciplina “l’omicidio del consenziente” è altrettanto importante capire che il testo del quesito referendario non abroga in toto tale reato in quanto salva i tre casi in cui il codice penale applica le norme sull’omicidio volontario, vale a dire quelli in cui il fatto è commesso contro:

  • un minorenne
  • un infermo di mente
  • una persona il cui consenso sia stato estorto.

Prima di addentrarci in una disanima di cosa potrebbe cambiare il voto del cittadino e di quali sono le posizioni delle parti sociali e politiche in merito alla proposta referendaria è indispensabile, a nostro parere, avere chiaro il quadro normativo che, ad oggi, in Italia regolamenta la pratica dell’eutanasia o di interventi che spesso le vengono erroneamente assimilati.

Incominciamo col dire che tecnicamente il termine “eutanasia”, dal greco “buona morte”, definisce la procedura prevista per porre fine di proposito alla vita di soggetti in gravissime condizioni di salute con l’obiettivo di alleviarne sofferenze e malesseri psico-fisici irreversibili.

In Italia l’eutanasia attiva(1) è illegale; i codici del nostro paese assimilano infatti questa pratica all’omicidio volontario regolamentato dall’art. 575 del codice penale.

Tale divieto è assoluto e esula dal consenso del malato. L’art. 579 del codice penale punisce infatti

“chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui”

cioè l’omicidio del consenziente, anche se in questa fattispecie la reclusione prevista (dai 6 ai 15 anni) è inferiore a quella sanzionata dall’art. 575 per l’omicidio ordinario.

L’art 580 del Codice penale punisce invece l’istigazione al suicidio, il cosiddetto suicidio assistito, con pene detentive dai 5 ai 12 anni per

“chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio,
ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione.”

L’intervento della magistratura, in merito a specifici processi, negli ultimi anni ha apportato significative modifiche all’art. 580:

1) dal novembre 2017 il tribunale di Milano ha stabilito che non è possibile ostacolare la volontà dei soggetti che viaggiano verso l’estero per ottenere il suicidio assistito;

2) la Corte Costituzionale con la sentenza 242/2019 nel processo Cappato/Antoniani(2) ha decretato che il suicidio assistito può essere giustificato in presenza di 4 condizioni (irreversibilità della malattia, sofferenze fisiche o psichiche intollerabili, dipendenza da un trattamento di sostegno vitale e consenso della persona).

Con la loro pronuncia, i Giudici della Consulta hanno reso in parte incostituzionale l’art. 580 c.p. e hanno stabilito una limitata libertà di eutanasia. Per evitare abusi essi hanno tuttavia stabilito che le 4 condizioni di cui sopra debbano essere a priori verificate da una struttura del Servizio Sanitario Pubblico ed ottenere parere favorevole del Comitato Etico territorialmente competente.

La Corte Costituzionale, Organo che già nel 2018 aveva sollecitato il Parlamento a legiferare in materia di fine vita senza ottenere risultati, nella propria sentenza ha sicuramente preso a proprio riferimento, nel delineare le 4 condizioni di non punibilità, un’altra legge d’importanza fondamentale, la 219 del 2017 nota come “legge sul biotestamento” o sulle “Dat” e che considereremo quindi come parte del quadro normativo. Essa sancisce il diritto del cittadino a decidere in anticipo il tipo di trattamenti a cui essere sottoposto nel fine vita sulla scorta del principio costituzionale che nessuno può essere sottoposto a cure se non in forza di una legge specifica. Nelle disposizioni anticipate ognuno può quindi esprimere anche il proprio rifiuto ad essere sottoposto a trattamenti sanitari di sostegno vitale, tra cui idratazione e nutrizione assistiti. La legge, per la cui approvazione è stato trainante “il caso Englaro”(3), a suo tempo raccolse consensi ed adesioni anche tra parti politiche e sociali molto distanti in materia di fine vita.

Da aggiungere poi che, in presenza di un vuoto legislativo, è stata molto spesso la magistratura a dare contenuto, quando chiamata a decidere su casi specifici, a nodi cruciali della legge: tra questi il significato di

“trattamenti sanitari di sostegno vitale”

una delle 4 condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale per valutare un caso di suicidio assistito.

La Corte d’Appello di Genova, ad esempio,  nel caso di Davide Trentin(4) affetto da sclerosi multipla, ha sentenziato che “per trattamenti di sostegno vitale” non sono da intendersi solo la sottoposizione a un macchinario (nel “caso Cappato-DJ Fabo” un respiratore) ma qualsiasi terapia salvavita, anche farmacologica.

Alla luce di quanto sopra esposto ci sembra chiaro che la proposta di referendum niente abbia a che vedere con l’ipotesi del suicidio assistito (la fattispecie in cui una persona aiuta un’altra a suicidarsi) che segue e sta seguendo una propria strada anche legislativa di cui si parlerà nella parte finale del nostro articolo.

COSA COMPORTERÀ UNA EVENTUALE VITTORIA DEL REFERENDUM?

La vittoria dei sì al referendum renderebbe legale la cosiddetta eutanasia attiva che resterebbe punita solo se commessa contro le tre categorie di soggetti sopra indicati. Niente vieta comunque che il Parlamento possa approvare, in seguito, una legge sull’eutanasia che modifichi in tutto o in parte i risultati dell’abrogazione parziale dell’art 579 del c.p.

IL FRONTE DEL SI’ ALL’ABROGAZIONE E LE SUE MOTIVAZIONI

La proposta di referendum è sostenuta da un fronte che mette insieme l’Associazione Luca Coscioni, l’Associazione Avvocati matrimonialisti e una galassia di piccole e grandi Associazioni tendenzialmente di sinistra. A livello politico il fronte raggruppa i Radicali Italiani, +Europa, il Partito Liberale e quello Socialista.

Da premettere che l’Associazione Luca Coscioni, sulla scia del caso Welby, nel 2013 aveva già depositato una legge di iniziativa popolare che aveva raccolto 140.000 firme per la legalizzazione dell’eutanasia. Tale proposta non è mai stata discussa dal Parlamento e all’Associazione col tempo il ricorso al referendum è apparsa come una scelta obbligata, l’unica che finalmente consentisse ai cittadini, alle forze politiche e sociali di discutere e prendere posizione sul tema dell’eutanasia.

Riprendendo le parole di Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, il quesito referendario si propone di evitare ogni discriminazione dei malati (quelli ad esempio che, immobilizzati, hanno bisogno di un aiuto diverso, esterno per porre fine alle proprie sofferenze) rendendo lecita l’eutanasia attiva sul modello olandese. L’obiettivo è quello di sostituire al principio di indisponibilità della vita, intesa come bene sociale, che sta alla base del codice penale di matrice fascista del 1930, il principio della disponibilità della vita (sia pure a determinate condizioni).

La possibilità per un medico di assistere direttamente il paziente eliminerebbe poi l’eutanasia clandestina, oggi particolarmente diffusa.

Per il fronte del sì, in sintesi, la vittoria significherebbe il riconoscimento del valore della libertà nelle scelte di fine vita, il diritto di ognuno di decidere per se stesso nel rispetto del principio del libero arbitrio e della responsabilità individuale.

IL FRONTE DEL NO ALL’ABROGAZIONE E LE SUE MOTIVAZIONI

Il fronte del NO vede sicuramente in prima linea la Chiesa nelle sue più alte gerarchie (CEI, Vaticano) che rifiuta l’eutanasia senza mezzi termini. Da premettere che tale posizione non è dettata da disinteresse della Chiesa per la malattia e la sofferenza; nel tempo essa ha infatti assunto posizioni assai innovative su tematiche comunque connesse alle fasi terminali dell’esistenza. Ne citiamo ad esempio alcune: la condanna dell’accanimento terapeutico, la valorizzazione delle cure palliative, l’assunzione di una posizione non esplicitamente ostile sulla sospensione della nutrizione e idratazione artificiali e sull’uso della sedazione continua e profonda. Accettare l’eutanasia presuppone però per la Chiesa superare un limite invalicabile: negare il principio per lei fondamentale che l’uomo non è padrone della propria vita e che non ha il diritto di uccidere perché ogni esistenza, anche la più tormentata, ha un valore sacro.

Al di là di questa interpretazione canonica ci ha molto colpito l’analisi di Luigi Manconi(5) in merito alle profonde motivazioni del rifiuto della Chiesa dell’eutanasia, che a suo parere non è solo una riaffermazione di principi intransigenti ma è anche una riflessione preoccupata sul contesto culturale e il clima morale delle società secolarizzate. Egli scrive:

“La Chiesa ritiene che l’autodeterminazione- la sovranità su di sé e sul proprio corpo- sia l’esito finale di una concezione nichilista che rifiuta il legame sociale e la responsabilità verso i “mondi vitali” rappresentati dai rapporti familiari e di comunità”.(6) 

Se la Chiesa ufficiale è la protagonista principale del fronte del NO non è altrettanto scontato che le sue posizioni siano sempre e del tutto condivise dalla cosiddetta comunità dei credenti e che anche nel mondo laico non vi siano, sia pure con motivazioni diverse, posizioni sfavorevoli al referendum. Non si tratta insomma di una semplicistica contrapposizione tra credenti e non credenti.

Tra le personalità che hanno espresso dubbi sul quesito referendario possiamo citare Giovanni Maria Flick, ex presidente emerito della Corte Costituzionale e Ministro di Giustizia, secondo il quale la vittoria dei sì creerebbe una contraddizione giuridica in quanto ci troveremmo nella situazione che chi uccidesse una persona maggiorenne e cosciente di sé che glielo chiede, anche se in buona salute, non rischierebbe il carcere mentre lo rischierebbe un medico o un amico stretto che aiuta nel suicidio un malato che si trova nelle 4 condizioni previste dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale . In pratica ci troveremmo a punire l’aiuto al suicidio («meno grave») e non l’omicidio del consenziente («più grave»).

Ancora più categorico e contrario è Luciano Violante, già magistrato e parlamentare del Partito Comunista.

Entrambi concordano nel dire che con l’approvazione del quesito abrogativo ci ritroveremmo senza norme di contorno che regolamentino l’omicidio del consenziente e quindi nella necessità di intervenire normativamente.

COSA HA FATTO E STA FACENDO IL PARLAMENTO?

Come già anticipato, il mondo della politica è sempre stato in ritardo e inconcludente rispetto ai temi dell’eutanasia e del suicidio assistito; non è un caso che numerose proposte di legge, popolari e non, siano  insabbiate da anni. Soltanto il 6 luglio 2021 le Commissioni congiunte Affari Sociali e Giustizia della Camera hanno approvato il “testo base” di una proposta normativa che ha unificato cinque diversi disegni di legge e su cui il Parlamento inizierà a pronunciarsi dal 25 Ottobre. Essa riguarda unicamente l’articolo 580 c.p. e ricalca le le prudenti logiche della sentenza della Corte Costituzionale ma potrebbe essere un inizio per arrivare a una norma il più ampiamente condivisa. Il testo tuttavia non tiene conto dell’eutanasia nonostante i disegni di legge da cui parte, facessero riferimento anche all’art. 579.  Un eventuale vittoria del sì, con la parziale abrogazione di tale articolo e la conseguente mancanza di norme di contorno che regolino l’omicidio del consenziente, sicuramente renderà necessario un intervento del Parlamento.

Sarà ancora una volta indispensabile, come scrive Mario Pierantoni, presidente della Commissione Giustizia della Camera(7),
che i vari gruppi politici riescano a trovare un accordo partendo ognuno da una presa d’atto
autonoma sia tra quelli che sono fortemente contrari sia tra quelli che sono a favore di
certe norme ma che hanno al loro interno diverse anime.

Rimaniamo in attesa degli eventi.

 

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(1) Si parla di eutanasia attiva quando un soggetto causa la morte di un paziente che lo richiede a causa di condizioni di vita da lui ritenute intollerabili.
(2) Marco Cappato nel 2017 venne accusato di aver partecipato attivamente al suicidio del DJ Fabo il quale, affetto da tetraplegia e cecità per un grave incidente, aveva deciso di togliersi la vita ricorrendo a una delle società della “buona morte” legalmente attive in Svizzera. Nel 2019 Cappato venne prosciolto.
(3) Eluana Englaro, a seguito di un incidente stradale visse in stato vegetativo per 17 anni, fino alla morte sopraggiunta a seguito dell’interruzione della nutrizione artificiale. Il suo caso divenne una lunga vicenda giudiziaria tra la famiglia sostenitrice dell’interruzione del trattamento e la giustizia italiana, oltre che un caso politico.
(4) Davide Trentin nel 2017 ricorse al suicidio assistito in una clinica svizzera accompagnato da Marco Cappato e Mina Welby. Anche in questo caso la Corte ha assolto Cappato e Welby.
(5) Scrittore e giornalista di La Stampa e La Repubblica. Senatore del PD dal 2013 al 2018.
(6)  La Stampa 20 agosto 2021 pag.1
(7)  Il Dubbio 20/08/2021 Pag.2

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