La paziente, di circa 70 anni, arrivò in Hospice già in stato semicomatoso e soporoso. Alle spalle una grande famiglia con figli, nipoti, fratelli e sorelle al cui interno non regnava un grande accordo e che spesso esprimevano anche in camera e alla presenza della paziente i loro contrasti in merito al suo stato, all’eventualità di stimolarla o di lasciarla quieta, o considerazioni sulla validità delle terapie fin lì usate. Avendo appreso da una figlia che C. era una grande amante dei cani chiesi alla pet therapist di provare ad intervenire con l’obiettivo di tranquillizzare i familiari e di dimostrare loro che la paziente, se trattata con dignità, poteva ancora avere esperienze positive. Malgrado il loro iniziale scetticismo e la loro continua e reciproca aggressività Monica, la pet therapist, portò nella stanza Spirit e lo fece accomodare su una sedia accanto alla signora. Poi le prese la mano e le fece toccare il pelo del cane che incominciò a leccargliela. La Signora C., sorprendentemente, aprì gli occhi ed il suo sguardo non era vitreo ma orientato al cane, a lui soltanto, e così rimase per ben 10 minuti, con gli occhi aperti, mostrando di gradire il contatto con l’animale, ricercandolo anzi con gli occhi.
I familiari fecero immediatamente silenzio osservando la scena. Molti di loro erano visibilmente commossi, alcuni uscirono in lacrime dalla camera, altri non staccarono gli occhi di dosso dalla paziente per tutto il tempo in cui durò l’episodio.
Anche dopo rimase nella stanza un alone di silenzio rispettoso, come se qualcosa di magico vi fosse successo; sembravano tutti commossi e più in pace. La signora C. chiuse tranquillamente gli occhi e morì alcune ore più tardi in piena rilassatezza.