Letti per voi – Alla fine della vita

“ALLA FINE DELLA VITA. Morire in Italia” di Marzio Barbagli, edizioni il Mulino – Bologna 2018 – pp. 351, € 20.

Marzio Barbagli (1938) è professore emerito di Sociologia dell’Università di Bologna e membro dell’accademia dei Lincei. Sociologo dagli spiccati interessi storici ha scritto numerosi saggi occupandosi di famiglia, sessualità, immigrazione, criminalità e suicidio. in ognuno di essi, “risalendo indietro nel tempo” per dare risposte ai problemi del presente, ha spesso finito per incrinare certezze consolidate. e così è nel suo saggio più recente in cui affronta il tema delicato del fine vita, confrontando la situazione italiana col resto del mondo.

In questo saggio il mito da sfatare è quello che la rimozione della morte sia prerogativa della società contemporanea, almeno secondo un’opinione trasversalmente abbracciata da importanti storici, filosofi, antropologi, sociologi, psicologi e scrittori.

Per gli esseri umani la morte è un fatto comune e quotidiano. il pensiero della nostra morte si affaccia spesso in vari modi nelle nostre giornate e la scomparsa di persone vicine o sconosciute segna le nostre vite. Fare esperienza della morte e non solo immaginarla costituisce infatti un momento di passaggio e di conoscenza di un fatto della vita che muta il proprio modo di sentire in modo irreversibile. Questo è vero per la dipartita delle persone che ci sono vicine e vale ovviamente per la propria morte, ma vale anche per il modo in cui la fine della vita è concettualizzata e pensata. e proprio su quest’ultimo punto si dipana il lavoro del sociologo Marzio Barbagli nel suo “alla fine della vita. Morire in italia”. Barbagli si interroga, infatti, sulla reale consistenza di alcune idee circa il modo in cui gli esseri umani, e in particolare gli italiani, farebbero esperienza della morte. Più specificamente, l’autore si interroga sulla verità di tre presunte trasformazioni fra il modo in cui la morte sarebbe stata vissuta nel passato e come essa verrebbe sperimentata oggi.

Il primo tipo di cambiamento che viene dato come certo, non solo dall’uomo comune ma anche nel dibattito colto e accademico, è che oggi la morte sia nascosta e che avvenga in luoghi non accessibili.

La seconda trasformazione tra passato e presente su cui Barbagli si interroga riguarda invece il rapporto fra il curante e il moribondo, presentato dalla maggioranza di coloro che si occupano del fine vita, schietto e sincero nei secoli scorsi, opaco e insincero oggi con medici che tenderebbero a nascondere al paziente la verità sulla sua sorte. Infine, e qui entriamo nel merito di una terza trasformazione avvenuta dal passato ad oggi, è opinione condivisa dai più che nei secoli scorsi il lutto e i sentimenti che lo accompagnavano erano pubblicamente espressi, ritualizzati e quindi condivisi mentre nei tempi odierni le emozioni e le reazioni di chi resta vengono represse e occultate.

Per verificare la correttezza di queste affermazioni Barbagli parte da una ricostruzione storica estremamente documentata dei modi del morire e della “gestione” della morte nei secoli scorsi. Questo interessante percorso storico sfocia poi nella descrizione della situazione contemporanea per cui Barbagli, fornisce una mappa di come si muoia oggi, in quali contesti e con quali relazioni fra chi termina la vita e quanti lo assistono.
Numerosissimi e dettagliati sono i dati sulle cure palliative e gli Hospice, presentati da Barbagli nella sua trattazione in cui viene sottolineata la forte disparità della loro diffusione a livello geografico, in particolare tra Nord e Sud, ma talora anche all’interno di una stessa Regione.

La conclusione a cui arriva il sociologo è che ci sono state sicuramente trasformazioni nei modi di morire e nelle emozioni connesse a questo evento, ma questi cambiamenti non hanno prodotto nel presente un silenzio sulla morte e un suo occultamento maggiore di quelli sperimentati nei secoli scorsi. Solo una visione astorica del passato, sostiene Barbagli, ci permette di dire che un tempo gli uomini si congedassero quietamente dal mondo, nel proprio letto, circondati dal calore della famiglia e con il viatico del prete.
Ma in realtà la “cerimonia domestica della morte” (una dipartita “naturale” più umana rispetto alla morte artificiale cui andiamo incontro oggi, soverchiati dalla burocrazia e intubati in un anonimo letto d’ospedale) è spesso rimasta una chimera. Anche nel passato si poteva morire all’improvviso in strada ed inoltre guerre, carestie ed epidemie rendevano difficilmente programmabile e gestibile la propria morte, soprattutto se non si era ricchi.
Altrettanto da sfatare poi è l’idea che in passato la morte fosse al centro di comunicazioni sincere e aperte, e che al contrario la consuetudine di celare la verità al malato sia una pratica specifica della modernità. La cultura dei medici e la religione cristiana, infatti, hanno per secoli avallato un atteggiamento paternalista orientato a proteggere malati e moribondi da una verità che erano ritenuti troppo deboli da sostenere: il comunicare la notizia infausta ai parenti invece che ai pazienti era una pratica seguita dalla grandissima maggioranza dei medici da Ippocrate in poi.

Secondo Barbagli è poi criticabile attribuire alla repressione delle emozioni messe in atto dalla società attuale la progressiva scomparsa di quelle forme di manifestazione pubblica e di ritualizzazione del lutto che caratterizzavano le realtà del passato. Il vero motivo del loro venire meno, afferma il sociologo, è che la società attuale è cambiata. La durata media della vita si è allungata, i legami famigliari si sono allentati, l’“eclissi del sacro” ha ridimensionato il ruolo della religione, la batteriologia e la microbiologia hanno rivoluzionato le conoscenze mediche, le grandi epidemie che uccidevano velocemente e in modo indiscriminato hanno lasciato il posto a malattie croniche e degenerative dal decorso anche lunghissimo.

Per questo l’“ospedalizzazione della morte” avviatasi alla fine dell’Ottocento, ha preso oggi il sopravvento (ma non ovunque) sui rituali domestici del trapasso, più consoni a una società tradizionale. E’ dalle pagine Facebook dedicate agli amici scomparsi che spesso ora si condivide il proprio dolore con gli altri. In definitiva secondo Barbagli se oggi qualcosa è cambiato nel modo di sperimentare il fine vita, almeno in Occidente e in Italia in particolare, questo non è consistito nel nascondere la morte relegandola a posti lontani ed inaccessibili contrariamente a quanto avveniva in un passato astorico, ma nel mettere in discussione un certo tipo di paternalismo medico. Alla concezione di un medico autorevole, autorizzato ad agire per il bene del paziente ma senza interrogarne la volontà, si è opposta negli ultimi decenni una nuova concezione della relazione di cura basata sull’idea che il paziente, anche nella fragilità della malattia, sia un individuo autonomo nel pieno diritto di autodeterminarsi e capace di esercitare scelte competenti e informate.
L’approvazione di leggi specifiche in merito ha fatto sì che lo spazio della cura sia divenuto sempre più un luogo di scelta consapevole per gli esseri umani. In molti paesi la costruzione di uno spazio di autodeterminazione per il paziente è arrivata a riguardare anche la fine della vita, spingendosi fino a riconoscere il diritto a pratiche come il suicidio assistito e l’eutanasia.
In questo campo la società italiana, secondo Barbagli, sconta un considerevole ritardo rispetto ad altre anche se l’approvazione della legge sulle cosiddette “Dichiarazioni anticipate di trattamento” rappresenta un segnale positivo in tale senso, ancorché minimale e tardivo.

Per concludere quindi, secondo Barbagli, se c’è una novità nel modo in cui oggi muoiono gli esseri umani, almeno in Occidente, è proprio l’avanzamento dell’idea che questo momento non debba essere necessariamente lasciato al caso o alle decisioni di altri, ma che vivere una vita buona possa implicare anche l’avere voce e autorità su come essa termina. In definitiva un grosso passo in avanti, rispetto al passato, dal punto di vista etico.

Buona lettura!

Le considerazioni presenti nell’articolo si basano sulla lettura del libro e sulle ottime due seguenti recensioni:
1) Simone Pollo – Numero di Giugno 2018 de L’indice
2) Raffaele Liucci – Il Sole 24 Ore – Marzo 2018.

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