Un pomeriggio all’Hospice

Franco, socio e Vice Presidente della nostra associazione, qualche mese fa è entrato in ufficio con una proposta:
“Mi piacerebbe trascorrere del tempo con chi lavora a contatto con il malato? Conosciamo molto bene ciò che gli operatori e i medici fanno giornalmente, ma non potremo mai capire fino in fondo cosa si prova ad essere qui h24 , 7 giorni su 7 se non mettendoci in prima persona la loro situazione.”
La proposta ci è subito piaciuta molto e abbiamo deciso di trasformarla in un racconto a puntate dove Franco con i suoi occhi e dalla sua prospettiva ci racconta quello che quotidianamente succede in Hospice, tra volti, sensazioni ed emozioni che solo chi vive questa esperienza, nel bene e nel male, può cogliere.

________________________________________________________________

ORE 14:00
Il lungo corridoio ben illuminato e perfettamente pulito, mi accoglie con tutta la sua semplicità, dandomi un senso di pace e serenità.
Avvolto in un silenzio completo ho la sensazione di una operosità metodica, accurata.
Le porte delle camere munite di cartellini recanti un fiore stampato, si affacciano sul corridoio, alternate.
Ecco la capo reparto Maria Antonietta, che con un sorriso sereno, mi viene incontro e mi indica la sala riunione.
Siamo attesi dalle infermiere che alla fine del turno, presentano il quadro generale sanitario dei vari pazienti, anzi, mi correggo, degli ospiti, alla luce delle ultime 24 ore trascorse.
E’ un resoconto dettagliato diurno e notturno, che spazia dallo stato prettamente sanitario, allo stato psicologico di ciascun ospite.
La mia attenzione è catturata completamente dalla semplicità, dalla normalità di come vengono trasmesse queste informazioni.
Un pensiero inevitabile mi attraversa il cervello… “stiamo parlando di persone allo stato terminale eppure è come si parlasse di pazienti pronti ad essere dimessi da lì a poche ore?”.
Si passa dalla motivazione dell’ospite che non ha gradito il budino a pranzo, all’ospite al quale è stato cambiato il pannolone, allo stato psicologico, all’umore e al fatto che abbia faticato ad addormentarsi.
Il tutto con una normale naturalezza, non una sbavatura di insofferenza, stanchezza o peggio ancora di superficialità o indifferenza.
Si passa poi alla valutazione dello stato generale fisico e psicologico dei familiari, soffermandoci sulla necessità di eventuali incontri e sedute.
Il colloquio si svolge con serena tranquillità, con chiarimenti prontamente esaustivi e reciproci scambi di opinione e ancora una volta, non posso non pensare che stiamo parlando di persone che mediamente hanno una permanenza di 3 settimane.
Terminato il briefing, accompagnato da Maria Antonietta abbiamo visitato una stanza vuota con relativo bagno personale e salottino per ospiti, per passare poi ad un’altra stanza con relativo ospite.
Devo ammettere che tutte le mie ansie o meglio le mie preoccupazioni derivanti da quel perdurare concetto di fine vita che mi ero prefigurato prima della mia visita, scompaiono alla vista della coppia ospite.
Marito a letto, moglie a fianco, sorridenti, pronti ad accoglierci con serenità e massima disponibilità alla visita.
Il letto, posizionato vicino ad una lunga finestra, permette all’uomo una vista sul sottostante giardino, con un raggio di sole in grado di illuminare la stanza.

E’ sereno, accoglie Maria Antonietta con una battuta, mi saluta cordialmente, non ha alcun moto di insofferenza, di rancore, di tristezza.
Rimango basito, quando con naturalezza chiede a Maria Antonietta se c’è la possibilità di avere un trattamento ai piedi, sapendo della estetista volontaria presente in hospice.
Mille pensieri attraversano la mia mente, mi chiedo se io nella sua posizione mi sarei comportato in quel modo, se avessi avuto la medesima reazione e soprattutto la stessa capacità di vincere la morte.
Non ho il tempo di approfondire altri concetti o più semplicemente di analizzare le mie sensazioni, che Maria Antonietta mi conduce da un’altra ospite dedita in quel momento ad un trattamento ai piedi da parte dell’estetista.
Se il primo mio incontro è stato motivo di sorprese ed incredulità, questo rimarrà nella mia mente per sempre.
L’ospite, una signora dai capelli bianchi, molto magra, intenta alla manipolazione del piede da parte della estetista, per nulla intimorita o diffidente alla vista della mia figura, mi saluta con calore e con un bel sorriso mi accoglie con naturalezza, incurante della posizione assunta causa trattamento.
Con garbo, un po’ impacciato, quasi intimorito da quella naturale accoglienza ricevuta, chiedo se è possibile fotografare il suo piede manipolato dall’estetista.
Sicuro di una affermativa risposta, preciso di non voler, per la privacy , fotografare lei supponendo una sicura reazione negativa.
Con un sorriso, ancora più spontaneo, qualora fosse possibile, senza un attimo di esitazione, non solo mi concede l’autorizzazione, ma con l’ilarità di tutti i presenti, esclama: “Certo che gliela do, quando mai mi capiterà una occasione del genere?”
Ecco questa è stata la mia prima esperienza a contatto con gli ospiti dell’Hospice di Niguarda a Milano.
E’ una esperienza che porterò nel mio cuore per sempre, che mi ha costretto a pormi delle domande alle quali mai avrei pensato di dover rispondere.
Vi invito a seguirmi nel prossimo numero del periodico di una Mano alla Vita, per i futuri incontri di Musicoterapia.
Franco Abbiati

Condividi

 

Leggi anche